Perché amiamo gli animali ma li mangiamo La dissonanza cognitiva - Riccardo Ze

Perché amiamo gli animali ma li mangiamo? La dissonanza cognitiva

(Se preferisci guardare e ascoltare piuttosto che leggere, in fondo all’articolo trovi la versione video che ho pubblicato sul mio canale YouTube)

Perché diciamo di amare gli animali e poi li mangiamo?

Perché ci scandalizziamo se qualcuno mangia un cane ma ci sembra normale mangiare ogni giorno polli, mucche e maiali?

Siamo forse persone ipocrite, incoerenti, false?

Sarebbe più facile se fosse così. Qualche insulto ricevuto, un esame di coscienza e il problema sarebbe risolto.

In realtà però il colpevole di questa comune situazione ha un nome e si chiama dissonanza cognitiva.

Lascia che ti spieghi meglio.

Ti consiglio di ascoltare perché colpisce ogni singola persona sulla terra e non solo per quanto riguarda gli animali, ma anche chi si iscrive in palestra e non ci va, chi fuma sapendo che fa male, chi dice di mangiare sano ma beve alcol o mangia patatine fritte ogni giorno.

Storie di alieni e diluvi universali

Esperimento dissonanza cognitiva

Iniziamo capendo cos’è questa dissonanza cognitiva e poi vedremo come ci influenza nella dieta, nella scelta di mangiare o meno carne e derivati animali e come possiamo evitarla o disinnescarla.

La paternità di questo concetto è attribuita a Leon Festinger, psicologo e sociologo americano che l’ha teorizzata nel 1957.

Per arrivarci ha fatto diversi esperimenti e assistito a situazioni alquanto bizzarre.

Te ne racconto una.

È il 1954 e siamo in un piccolo paesino del Kansas.

La vita di una casalinga di nome Dorothy scorre tranquilla, finché non riceve un messaggio dai guardiani.

Questi guardiani scrivono da Clarion, un lontano pianeta e avvisano Dorothy che il 21 dicembre di quell’anno il diluvio universale spazzerà via l’umanità, ma… chi avrà fede in loro verrà salvato.

La nostra cara casalinga ora ha una missione e inizia a raccogliere altri adepti, tra cui Festinger e suoi ricercatori.

Il 17 dicembre Dorothy riceve la chiamata di Captain Video che la avvisa che alle 4 del pomeriggio lei e le altre persone credenti verranno prelevate e messe in salvo.

Il gruppo aspetta ma nessuno arriva.

La loro fede si sfalda? No, si rafforza.

La spiegazione che si danno è che si trattava solo di una prova generale.

Passa un po’ e arriva di nuovo un messaggio dai guardiani per un altro appuntamento.

Ahimè, altra buca.

Poi il terzo messaggio.

Il 20 dicembre a mezzanotte arriverà l’astronave salvatrice. La condizione è che tutti i credenti dovevano togliere di dosso qualsiasi oggetto metallico, cosa che fecero.

L’attesa continua e continua, le 2, le 3, le 4, nulla.

Poi, in preda alla disperazione, Dorothy riceve il messaggio decisivo, alle 4:45.

La luce e l’amore che avevano emesso con la loro fede aveva fatto ripensare dio, che aveva quindi deciso di salvare tutta l’umanità.

A quel punto che fai, pensi che sia tutta una burla giusto?

No.

Ormai quelle persone si erano spinte troppo in là e avevano cambiato l’immagine che avevano di se stesse.

Quindi la reazione diventa l’orgoglio di aver salvato l’intero pianeta grazie alla loro devozione.

Questa è una storia vera che non deve trarci in inganno.

È facile dare dell’idiota alla povera Dorothy, ma è molto più difficile dare dell’idiota a noi stessi e noi stesse.

Questa storia è estrema e portata all’assurdo, ma reazioni simili le abbiamo ogni giorno per tante cose.

Mi riferisco a culti e sette che hanno fatto cose strane e brutte trovando spiegazioni apparentemente razionali che le giustificassero, ma anche a cose molto più comuni come il fumare sigarette o il mangiare salumi, due cose dichiarate ufficialmente e sicuramente cancerogene.

Parliamone.

Allora, io voglio fumare ma so che fa male, ne sono consapevole.

A quel punto le cose sono 3:

1 – o cambio comportamento e smetto

2 – o cambio idea sugli effetti del fumo, convincendomi che la scienza sbaglia o che a me non succederà nulla (notando solo chi è anziano, fuma e sta bene)

3 – o ancora giustifico il mio comportamento dicendo che fumo poco e quindi non mi ammalerò, che fumando prevengo l’aumento di peso oppure che “tanto di qualcosa dovrò pur morire”.

Quindi che cos’è la dissonanza cognitiva?

Che cos'è la dissonanza cognitiva Riccardo Ze

In pratica la dissonanza cognitiva è una tensione interna generata da due cose opposte tra loro, nello specifico valori e credenze da una parte e comportamento dall’altra.

Quando queste due parti non sono allineate ecco che nasce questo disagio emotivo, a volte anche inconscio. Non capisco bene da cosa derivi ma in qualche modo lo sento.

Al nostro organismo però piace l’equilibrio e allora ecco che il mio cervello si adatta per risolvere questo conflitto interno.

O cambio comportamenti, o le mie credenze, o le giustifico influenzando la mia percezione.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, si dice. In realtà c’è la nostra psicologia che a volte ci tende delle trappole.

Parafrasando la mia amica Benedetta Santini e il suo super libro “Platone c’ho l’ansia”: si cambia il dire e non il fare perché è più faticoso cambiare il fare.

Se mi accorgo che faccio una cosa distante dai miei valori, cambio il modo in cui esprimo i miei valori (e quindi in fondo anche i valori stessi) così non devo cambiare il mio modo di fare.

Ok, abbiamo parlato di cos’è e delle sigarette maledette, ora avviciniamoci agli argomenti che a me più interessano, cioè le nostre scelte alimentari.

La dissonanza cognitiva a tavola

la dissonanza cognitiva a tavola riccardo ze

Ti propongo adesso degli esempi, forse ti daranno un po’ fastidio, ma resisti, è importante.

Nel 2015 John Curno va con frequenza in un allevamento per penetrare delle mucche per il solo piacere di farlo.

Nel 2018 John Scott Falbo II trita un gruppo di 9 oche col suo tagliaerba perché, a detta sua, erano sul suo percorso e ha solo continuato a fare quello che stava già facendo.

Nel 2022 Jozef Daria taglia la gola al suo chihuahua per un rito religioso.

Brutte storie, vero?

Tutti e 3 sono stati puniti dalla legge in modi diversi.

Ora però cambiamo prospettiva.

Nell’industria del latte vengono penetrate in continuazione mucche per metterle incinta artificialmente così che abbiano tanti figli e sempre latte.

L’industria delle uova non ha bisogno di pulcini maschi, quindi appena le uova si schiudono li uccidono, di solito tritandoli vivi (ho parlato nel dettaglio di come funziona l’industria delle uova in questo video).

Nei macelli la maggior parte degli animali viene uccisa tagliandogli la gola.

Perché qui l’effetto che ci fa sentire questi fatti è generalmente molto diverso dai primi 3 che vi ho raccontato?

Eppure queste cose oscene succedono ogni anno a miliardi di animali in cambio, per giunta, dei nostri soldi.

La maggior parte di noi non sa – o non vuole sapere – esattamente come si ottiene ciò che mangia e quando lo scopre, molto spesso, va proprio incontro alla dissonanza cognitiva.

Se è vero che praticamente chiunque direbbe mostro a quel ragazzo che ha tritato col tagliaerbe quelle oche, nessuno se lo dice mentre mangia un uovo che ha causato la tritatura di milioni di pulcini.

La gola di un chihuaua cos’ha di diverso da quella di miliardi di polli, mucche o maiali?

Cerchiamo di capirlo.

La vicinanza gioca un ruolo fondamentale in questo processo. Siamo abituati ad avere cani in casa, a coccolarli, ad affezionarci, gli diamo dei nomi.

Sarebbe impossibile razionalizzare la loro uccisione volontaria.

Le mucche o i maiali sono già più distanti, tantissime persone li ha visti magari solo in foto o in un recinto.

Non li abbiamo mai visti gioire o soffrire, li vediamo sporchi o puzzolenti che si rotolano nel fango.

La pubblicità ci fa vedere sempre animali felici perché conosce bene la dissonanza cognitiva e non vuole scatenarla rivelando anche il lato oscuro.

Jonas Kunsta e Sigrid Holec, due ricercatori dell’Università di Oslo hanno condotto una ricerca chiamata Carnivori per dissociazione, in cui hanno cambiato un po’ le carte in tavola.

Hanno visto come cambiava la reazione delle persone in base al modo in cui veniva presentato un piatto al ristorante.

Se sul menù si leggeva mucca invece di bistecca per esempio, più persone sceglievano l’alternativa senza carne.

Lo stesso vale se a fianco alla voce che riportava le cosce d’agnello c’era una foto dell’agnellino vivo.

Oppure c’è un altro studio del 2010 che mostra chiaramente in atto la dissonanza cognitiva.

A degli studenti del college venivano offerti o pezzi di carne di manzo essiccata o frutta secca, in modo del tutto casuale.

Dopodiché veniva chiesto di giudicare le capacità intellettive e cognitive di alcuni animali e la loro importanza morale.

Chi aveva mangiato il manzo giudicava in media le mucche più stupide e meno capaci di provare per esempio dolore e sofferenza.

Quelle persone avevano anche meno preoccupazioni tipo etico e morale verso quegli animali.

Chi invece aveva mangiato frutta secca, ne aveva una più alta considerazione.

Come evitiamo la dissonanza cognitiva

Quindi, nel caso del cibo, usciamo da questa dissonanza cognitiva o diventando vegan oppure provando a razionalizzare le nostre azioni.

Come?

Considerando gli animali inferiori, non in grado di sentire dolore, imparando a odiare le persone vegane perché sono estremiste e rompipalle, convincendoci che senza mangiare la carne, per esempio, staremo male

Mettici pure che sono generazioni che questo trattamento verso gli animali viene normalizzato ed ecco che siamo nei guai.

Mangiamo, la maggior parte di noi, almeno 3 volte al giorno, quindi cerchiamo in ogni modo di non sperimentare questa tensione così spesso.

La risposta “ormai mangio carne raramente, quasi mai” è proprio per alleviare la tensione, anche se chi te lo dice nel mentre ha in mano un panino col salame magari (storia vera, vista coi miei occhi).

Spesso quando una persona vegana fa notare questa incoerenza a chi mangia carne e si definisce un’amante degli animali, l’effetto negativo della dissonanza viene indirizzato proprio verso la persona vegana perché l’ha causata (anche se in realtà non è così, l’ha solo evidenziata).

Di questo però ne parleremo tra poco.

Le solite domande “da dove prendi le proteine?” oppure “con la B12 come fai?” non vengono fatte davvero perché chi le pone ha interesse nel sapere la risposta, ma sono giustificazioni che mettono a tacere la dissonanza rafforzando la credenza “mangiare animali è necessario, sennò starei male”.

L’odio verso le persone vegane in realtà è un’autodifesa.

Questo farà incazzare ancora di più chi ci odia, ma è proprio perché è la verità.

Se i tuoi valori sono simili ai miei, ma noto che il tuo comportamento è più coerente, allora mi sento sbagliato, minacciato, quindi che faccio? Ti scredito o ti odio.

Secondo Benoit Monin, psicologo della Stanford University, la paura di essere giudicati ha la meglio sull’ammirazione per l’integrità morale degli altri.

Alcuni psicologi hanno studiato questo fenomeno e hanno scoperto che usiamo circa 15 trucchetti mentali per ingannarci e giustificare il nostro mangiar carne.

Siamo dei ninja in questo, tanto che è stata coniata proprio l’espressione “Paradosso della carne”.

E bada bene che non c’entra tanto il livello culturale o la sensibilità della persona, nessuno è immune da questo rischio.

Nessuno è immune

nessuno è immune dalla dissonanza cognitiva riccardo ze

Il professore di filosofia Eric Schwtizgebel ha condotto uno studio per approfondire il comportamento di professori e professoresse di etica.

Lo ha fatto in diverse aree di comportamento, compresa quella che a noi interessa in questo video, cioè il mangiare carne.

Ecco, questo gruppo di persone aveva più probabilità di essere d’accordo che sia sbagliato mangiare mammiferi con regolarità (60% contro il 19% di chi non insegnava filosofia morale).

Ma, qui arriva il bello: non c’era alcuna differenza nel numero di persone che seguivano diete vegetariane o vegane.

Addirittura il nostro amico Schwitz (abbrevio per comodità, so che non si offenderà) aveva notato che alcune di queste persone ritenessero effettivamente sbagliato moralmente mangiare animali e insegnavano anche la difesa degli animali o della scelta vegetariana nelle loro aule universitarie.

In pausa però andavano comunque al bar dell’università per mangiare un cheeseburger.

Saremmo tentati dal giudicare queste persone come ipocrite o incoerenti, ma sarebbe un’errore.

Sono tutte persone che in realtà provano sulla propria pelle la dissonanza cognitiva.

Ma se neanche chi insegna filosofia morale ne è immune, allora come possiamo uscirne noi?

Come difendersi da questa trappola

diventare vegan per risolvere la dissonanza cognitiva

Una risposta certa non ce l’ho e probabilmente non ce l’ha nessuno, ma qualcosa posso dirtela.

Se sei tu in prima persona a sperimentare la dissonanza cognitiva, sappi che chiunque di noi si sente una brava persona, etica e con valori sani, quindi contrastiamo qualsiasi comportamento che possa minacciare quest’immagine che abbiamo di noi stessi.

Questo più o meno evidente disagio che inizi a sentire verso il mangiare carne non dovresti prenderlo male perché inizia a vederti come una cattiva persona.

Già per il fatto di sperimentare questa tensione significa che in realtà dai importanza alla vita degli animali, alla tua salute o all’ambiente.

Prova a fare luce su questa tensione, prova ad assecondare quella vocina che inizia a ronzarti in testa.

Può darsi che sia arrivato il momento di riallineare il tuo comportamento ai tuoi valori e capire che forse non puoi più evitare di collegare ciò che mangi a tutte le conseguenze che ha.

Pensa, nella dieta come in altre aree della tua vita, a quanto la dissonanza cognitiva stia magari accecando i tuoi veri valori.

Se invece segui già una dieta vegana, non additare l’incoerenza nelle persone con cui parli perché scatenare stati mentali negativi non porterà in alcun modo a un cambiamento positivo.

Molto più efficace sarebbe per esempio parlare di quando tu eri nella loro stessa situazione e poi piano piano hai capito.

Ricerca l’empatia e la comprensione, cerchiamo di portare la persona ad ammettere ciò che sente.

Secondo Festinger, raccontare le proprie convinzioni in pubblico aumenta la probabilità di farcele rispettare, perché ci fa rendere conto della nostra incoerenza e perché ognuno vuole evitare di vergognarsi di se stesso o sé stessa.

Tieni poi a mente un concetto importante e cioè che il comportamento non deve per forza cambiare in conseguenza a un cambiamento dei nostri valori.

A volte può funzionare meglio iniziare cambiando prima comportamento, che di conseguenza rimodella piano piano le nostre credenze.

È un qualcosa che ho imparato da Tobias Leenaert nel suo libro e che ho capito essere uno strumento molto potente a nostra disposizione.

In pratica, se riusciamo a far piacere per esempio dei burger vegetali o altre ricette vegane a una persone che ad oggi non ha intenzione di eliminare la carne, quella persona potrebbe iniziare a mangiare piatti vegani più spesso.

Col tempo l’immagine che ha di sé può trasformarsi ed ecco che sentirà in modo più naturale il bisogno di allineare del tutto i suoi valori e comportamenti.

Oppure se una persona è più sensibile a tematiche ambientali, possiamo partire da lì e col tempo allineerà il suo nuovo comportamento anche a una delle credenze madri del veganismo: “amo gli animali, quindi non li mangio”.

“Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé.”

F. Dostoevskij

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